Risoluzione del contratto di viaggio per malattia

Commento a sentenza del Tribunale di Roma n° 22397 del 2019 del 20 novembre 2019.

Il caso in esame riguarda la risoluzione di un contratto di viaggio, meglio detto pacchetto turistico all inclusive o tutto compreso, dovuta ad una malattia, nel caso di specie una lombo-sciatalgia, che affliggeva, appena prima della partenza, una dei sei viaggiatori acquirenti del pacchetto.

Nello specifico la viaggiatrice stipulava per se, per la sua famiglia e per due amici (in tutto sei persone) un pacchetto turistico in Egitto e suo marito provvedeva a dare un acconto sul totale del prezzo.

In prossimità della partenza del viaggio programmato la viaggiatrice veniva affetta da una malattia e le veniva prescritto riposo domiciliare per trenta giorni periodo contestuale al viaggio.

Chiedeva, pertanto, che il contratto fosse risolto e chiedeva il rimborso integrale del prezzo pagato in acconto dal marito.

Il tour operator, invece, applicava la penale per il recesso rimborsando solo 200 euro e trattenendo per se oltre euro 600 a titolo di penale.

I viaggiatori, pertanto, ricorrevano in giudizio e, avendo perso il primo grado dinanzi al giudice di pace di Roma, appellavano la sentenza dinanzi al Tribunale civile di Roma che, a sua volta, riformava a favore dei viaggiatori, la decisione con la sentenza n° 22397 del 2019.

La sentenza, suddetta, è importante poiché stabilisce alcuni principi:

- in primis che occorre distinguere la fattispecie della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, nel caso di specie una malattia, da quella del recesso. Si ha la prima quando il viaggiatore non può più recarsi in viaggio per un impedimento che prescinde dalla sua volontà e non è ad esso imputabile e si ha il secondo quando, invece, il viaggiatore decide deliberatamente di non voler più viaggiare.

- In secundis Che in caso di malattia, il viaggiatore ha diritto di risolvere (non recedere) il contratto e, pertanto, non configurandosi il recesso non si configurano anche eventuali penali previste, appunto, a fronte del recesso, con la conseguenza che il viaggiatore, ha diritto al rimborso dell’intero prezzo pagato per il pacchetto turistico.

- In terza fase che l’effetto risolutorio, e per quello, l’effetto restitutorio non è limitato al viaggiatore affetto da malattia ma si estende a tutti i viaggiatori inclusi nel pacchetto turistico: quando si acquista un unico viaggio per più viaggiatori, infatti, la finalità vacanziera non è solo quella ricreativa e rigenerativa ma è anche quella della condivisione del viaggio. Ne consegue che se uno dei viaggiatori si ammala anche gli altri, venendo meno l’interesse alla condivisione, hanno diritto a vedersi risolvere il contratto ed hanno diritto al rimborso del prezzo pagato per il viaggio.

La sentenza suddetta in conclusione risolve il contratto di viaggio per impossibilità sopravvenuta della prestazione (malattia) e condanna l’organizzatore di viaggio (tour operator) al rimborso del prezzo pagato sia per la viaggiatrice ammalata, sia per la sua famiglia che per i suoi amici.

Di seguito si riporta il testo integrale della sentenza previa omissione dei nomi delle parti per motivi di riservatezza.

Data anche la sentenza suddetta si consiglia ai viaggiatori qualora acquistano un pacchetto turistico tutto compreso di non acquistare un’assicurazione per l’annullamento del viaggio poiché, in caso di malattia o di qualsiasi impedimento il prezzo viene loro restituito dal tour operator senza necessità dell’assicurazione. L’assicurazione per l’annullamento, al contrario, serve se il viaggiatore si riserva il diritto di non voler partire anche senza alcun impedimento e quindi di mantenere la sua piena discrezionalità fino all’ultimo di voler o non voler partire, a prescindere da un impedimento.

3 dicembre 2019 Staff volosicuro.com

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE DECIMA CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Giovanna Schipani, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 67499/2017 R.G.A.C.C., vertente

TRA: omissis rappresentati e difesi dall’avv.to Michele Mirante giusta procura in calce all’atto di citazione in primo grado

APPELLANTI

E omissis rappresentata e difesa dall’avv.to (omissis) giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in grado di appello

APPELLATA

CONCLUSIONI

All’udienza di precisazione delle conclusioni del 13.6.2019, i procuratori delle parti concludevano come da verbale in atti e la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione in riassunzione, omissis 1 e omissis 2 hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Roma, il tour operator ……… S.p.A. e hanno chiesto di dichiarare la risoluzione del contratto di viaggio concluso in data 20.1.2015, per impossibilità sopravvenuta, a causa della lombo-sciatalgia diagnosticata ad uno dei viaggiatori, cui venivano prescritti riposo e cure per trenta giorni, e di condannare la predetta al pagamento della somma di € 619,50.

Si è costituita, in data 29.4.2016, la convenuta, chiedendo di dichiarare il difetto di legittimazione attiva degli attori con riferimento alla domanda proposta per i figli minori dei medesimi e per i signori Pierri Lucio e Di Gennaro Maria Luisa, quali amici degli attori anch’essi viaggiatori; ha chiesto inoltre il rigetto di ogni domanda e, in via subordinata, ha chiesto di prevedere a carico della medesima unicamente il pagamento in favore degli attori della somma di € 74,16, pari all’importo delle penali per le quote relative ai due soli viaggiatori istanti.

Il Giudice di Pace, con sentenza n. 8234/2017, emessa in data 14.3.2017 e pubblicata in data 21.3.2017, ha rigettato la domanda, condannando gli attori viaggiatori a rifondere le spese di lite in favore della convenuta in qualità di tour operator.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i due viaggiatori, articolando i motivi di gravame da intendersi qui trascritti, che possono riassumersi nei seguenti termini:

1) il giudice ha erroneamente ritenuto la prescrizione di riposo di 30 giorni s.c. compatibile con il viaggio, omettendo, invece, di considerare che all’attrice veniva prescritto, non un semplice riposo, ma un riposo domiciliare che, in quanto tale, le impediva di viaggiare, e ha erroneamente ritenuto che l’insorgere della lombo-sciatalgia non potesse configurarsi come circostanza “sopravvenuta”, tale da risolvere il contratto, poiché circostanza prevedibile dall’attrice quale possibile conseguenza della protrusione discale multipla, così considerando già esistente, e non sopravvenuta, una circostanza che, invece, anche se prevedibile, di fatto non esisteva;

2) il giudice, contraddicendo quanto dal medesimo asserito circa la risoluzione, ha erroneamente ritenuto che la viaggiatrice abbia agito per il recesso, anziché per la risoluzione del contratto, e ha postulato la legittimità della penale da recesso, ritenendo altresì erroneamente l’effettiva conoscenza da parte dell’attrice dell’art. 10 delle C.G.C., che, invece, non è stata, a pena di inefficacia, né espressamente richiamata nel contratto di viaggio né espressamente sottoscritta dall’attrice;

3) il giudice, confondendo gli istituti giuridici del recesso e della risoluzione, ha ritenuto erroneamente che nessun rimborso fosse dovuto in quanto gli attori avrebbero esercitato il recesso dal contratto.

Il primo motivo di gravame è fondato e riveste carattere assorbente.

In data 20.1.2015, la viaggiatrice sig.ra omissis ha concluso, tramite l’agenzia di Viaggi, un contratto di viaggio con il tour operator appellato (omissis), avente ad oggetto il soggiorno “all inclusive” presso un Resort sito in Marsa Alam, Egitto, per il periodo 21.3.2015-28.3.2015.

Il soggiorno era per sei persone e, segnatamente, per la famiglia della signora viaggiatrice, appellante, per il coniuge, appellante, per i due figli minori e per una coppia di amici.

Il 27.1.2015, il viaggiatore sig. omissis ha provveduto al pagamento, a mezzo bonifico, della somma di € 892,00 a titolo di acconto.

In data 24.2.2015 alla appellante sig.ra omissis è stata diagnosticata una “Lombosciatalgia riacutizzata in Pz. con protrusioni discali multiple già RM-Accertate in sede lombare” e alla stessa sono stati prescritti riposo domiciliare per trenta giorni e cure salvo complicazioni.

Il certificato è stato sottoscritto dal dott. ……….., medico chirurgo specialista in cardiologia.

Informata di ciò, l’agenzia di Viaggi ha trasmesso la richiesta al tour operator appellato, la quale ha trasmesso estratto conto, da cui risultava l’applicazione delle penali per complessivi € 619,50.

L’agenzia ha quindi rimborsato agli appellanti la somma di € 272,50, pari alla differenza tra quanto versato dall appellante viaggiatore e quanto trattenuto a titolo di penale per i sei viaggiatori.

A seguito della missiva del 3.3.2015, con cui il legale degli appellanti, affermando che trattavasi di risoluzione ai sensi dell’art. 1463 c.c., chiedeva il rimborso dell’intera somma versata, è stata coinvolta la compagnia assicuratrice Unipol, la quale però ha rifiutato la richiesta di rimborso in quanto la penale prevista era inferiore alla franchigia (pari ad € 150,00 a persona).

Ciò detto, quanto alle eccezioni reiterate dalla appellato tour operator, poiché il contratto si configura quale contratto in favore proprio (per la stipulate appellante sig.ra omissis) e in favore dei terzi (per i familiari e gli amici), legittimati ad agire in giudizio per la risoluzione del contratto e la restituzione delle somme versate sono esclusivamente la appellante sig.ra omissis, che ha sottoscritto il contratto, e il conuge appellante, che ha effettuato il pagamento dell’acconto per l’intero gruppo di viaggiatori, dovendosi escludere che gli attori abbiano agito in nome proprio per far valere diritti altrui.

Orbene, è indubbio che la vicenda debba essere inquadrata come contratto di viaggio vacanza "tutto compreso" e non invece come contratto di organizzazione (art. 5 e segg.) o di intermediazione (art. 17 e segg.) di viaggio (CCV) di cui alla Conv. Bruxelles del 23/4/1970 (resa esecutiva con L. 27 dicembre 1977, n. 1084).

Diversamente da quest’ultimo contratto, in cui l’operatore turistico professionale si obbliga verso corrispettivo a procurare uno o più servizi di base (trasporto, albergo, ecc.) per l'effettuazione di un viaggio o di un soggiorno, in cui le prestazioni ed i servizi si profilano come separati, e vengono in rilievo diversi tipi di rapporto, prevalendo gli aspetti dell'organizzazione e dell'intermediazione, con applicazione in particolare della disciplina del trasporto ovvero - in difetto di diretta assunzione da parte dell'organizzatore dell'obbligo di trasporto dei clienti - del mandato senza rappresentanza o dell'appalto di servizi, il contratto di viaggio vacanza "tutto compreso" (o di package) si caratterizza sia sotto il profilo soggettivo che per l'oggetto e la finalità.

Come statuito dalla Suprema Corte “nel contratto di viaggio vacanza "tutto compreso" (c.d. "pacchetto turistico" o "package", disciplinato attualmente dagli artt. 82 e segg. del d. lgs. n. 206 del 2005 - c.d. "codice del consumo"), che si caratterizza per la prefissata combinazione di almeno due degli elementi rappresentati dal trasporto, dall'alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) costituenti parte significativa di tale contratto, con durata superiore alle ventiquattro ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno un soggiorno notturno, la "finalità turistica" (o "scopo di piacere") non è un motivo irrilevante ma si sostanzia nell'interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l'essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero. Ne consegue che l'irrealizzabilità di detta finalità per sopravvenuto evento non imputabile alle parti determina, in virtù della caducazione dell'elemento funzionale dell'obbligazione costituito dall'interesse creditorio (ai sensi dell'art. 1174 cod. civ.), l'estinzione del contratto per sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, con esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni” (Cass. n. 16315/2007).

Di recente, esaminando un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio, la Corte (Cass. n. 18047/2018) ha affermato che:

- "la causa in concreto - intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato - conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell'economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall'altra";

- “la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell'art. 1463 cod. civ., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione.” (cfr. Cass. 26958/2007)”;

- “L'art. 1463 c.c assume una funzione di protezione in relazione alla parte impossibilitata a fruire della prestazione pattuita e ciò è funzionale, in linea generale, proprio alla ricostituzione del sinallagma compromesso, non spostando l'ambito contrattuale della responsabilità”.

Richiamati i suddetti principi e precisato che gli attori hanno agito in giudizio al fine di ottenere la risoluzione e non per sentir dichiarare la legittimità del recesso, ricorrono, ad avviso del Tribunale, i presupposti per dichiarare la risoluzione, in quanto la patologia diagnosticata alla signora appellante omissis e la prescrizione di trenta giorni di “riposo domiciliare” rientrano nell’alveo della impossibilità sopravvenuta, avendo reso impossibile l'utilizzazione della prestazione, e giustificano la risoluzione del contratto, con i conseguenti effetti restitutori.

Ed invero, non si condivide la valutazione espressa dal primo giudice in ordine al certificato.

In primo luogo, questo, pur non essendo stato rilasciato da uno specialista, contiene la diagnosi e la prescrizione del periodo di riposo, dovendosi considerare che, nella specie, non si verte in tema di patologia particolarmente complessa o di difficile individuazione, tale da richiedere specifiche competenze che non siano quelle in possesso di un medico chirurgo quale è il sanitario che ha emesso il certificato.

In secondo luogo, il riferimento al pregresso accertamento a mezzo RM (risonanza magnetica), contenuto nel certificato, presuppone che il sanitario abbia avuto visione dell’esame, il che rende ancora più agevole la diagnosi di riacutizzazione della lombo-sciatalgia.

A ciò si aggiunga che parte convenuta non ha contestato la provenienza e autenticità del documento e l’esistenza della patologia ivi attestata (cfr. pagg. 4 e 5 comparsa di costituzione in primo grado), essendosi limitata ad affermare che gli altri cinque viaggiatori non avevano alcun impedimento a viaggiare, né avevano riferito di non poter o non voler utilizzare il pacchetto, e che la semplice diagnosi di lombo-sciatalgia (che sarebbe guarita durante il periodo di viaggio, il 24.3.2015) non era idonea a costituire fatto non imputabile tale da impedire lo sfruttamento dell’occasione di viaggio, atteso che il sole e il calore avrebbero addirittura accelerato la guarigione.

Inoltre, non può certo condividersi la motivazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui il Giudice di Pace afferma che il certificato “… non attesta l’impossibilità assoluta di movimento per 30 giorni … Con esso si prescrive solamente il riposo per 30 giorni e di certo un viaggio non comporta sforzi tali da poter compromettere la salute del turista. Inoltre, come emerge dal certificato, la signora Fia Francesca già era affetta da protrusione discale multipla e ben sapeva, circostanza questa taciuta alla convenuta, che poteva incorrere in problemi di lombosciatalgia. Quindi l’insorgenza della lombosciatalgia … non rappresenta un’impossibilità sopravvenuta tale da potersi richiedere la risoluzione del contratto per motivi di salute con restituzione di quanto versato in acconto”.

Infatti, la prescrizione di trenta giorni di riposo domiciliare esclude, di per sé, che il paziente possa affrontare un viaggio, per di più quale quello in esame, che prevede, per raggiungere la destinazione, spostamenti (non di modesta durata) con diversi mezzi di locomozione, il che già è sufficiente a ritenere l’incompatibilità tra la patologia riacutizzatasi e il viaggio.

Rimane, tra l’altro, del tutto irrilevante la considerazione che un viaggio di piacere non comporti sforzi tali da compromettere la salute del turista, poiché se è ovvio che il turista, di norma, non venga sottoposto ad eventi particolarmente stressanti durante un soggiorno in località marittima, è del pari pacifico che un viaggio con finalità turistica debba essere effettuato in condizioni fisiche che ne consentano la normale fruizione e il pieno godimento.

Da ultimo, la pregressa protrusione discale multipla è patologia ampiamente diffusa nella popolazione, che certo non impedisce di attendere alle ordinarie occupazioni e di programmare viaggi, con esclusione dei periodi in cui la stessa si riacutizza, che notoriamente non sono prevedibili.

Né, per le ragioni già dette, è dato ipotizzare un onere di comunicazione della patologia in questione al tour operator al momento del contratto.

In conclusione, si ritiene che la diagnosi ed il periodo di riposo domiciliare prescritto, che copriva buona parte della durata del viaggio (fino al 26 marzo), costituiscano eventi imprevedibili e non imputabili alla viaggiatrice, tali da giustificare la risoluzione del contratto concluso tra la predetta ed il tour operator per impossibilità sopravvenuta.

In ragione del carattere unitario del pacchetto acquistato, che prevedeva un viaggio da condividere in compagnia di familiari e amici, la impossibilità sopravvenuta per uno dei viaggiatori (la contraente sig.ra omissis) è idonea a giustificare la perdita di interesse in capo agli altri viaggiatori, dovendosi qui ribadire che la “finalità turistica” non costituisce motivo irrilevante.

Del resto, diversamente opinando, i predetti finirebbero con l’usufruire di una prestazione diversa da quella pattuita, che prevedeva, sempre nell’ottica dell’unitarietà del contratto e della condivisione della vacanza, anche la partecipazione della si.gra appellante.

Se tale considerazione è ovvia per i due figli in tenera età e per il marito della appellante, ciò vale tuttavia anche per gli amici che avevano evidentemente scelto di trascorrere la vacanza anche in compagnia della predetta, da individuarsi quale causa concreta del contratto.

Ne discende che, in riforma della gravata sentenza, va dichiarata la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1463 c.c. e l’appellata deve essere condannata alla restituzione della prestazione, e cioè della somma di € 619,50, in favore del signor appellante viaggiatore.

In difetto di domanda (si vedano le conclusioni nell’atto di citazione in riassunzione), nulla spetta a titolo di interessi sulla suddetta somma (cfr. Cass. n. 21195 del 5/11/2004: “In tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi possono essere attribuiti solo se la parte ne abbia fatto richiesta”).

Le spese seguono la soccombenza e l’appellata deve essere condannata alla rifusione, in favore degli appellanti, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano come da dispositivo, con esclusione dei compensi della fase istruttoria/trattazione.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da dai viaggiatori appellanti nei confronti del tour operator appellato S.p.A. avverso la sentenza n. 8234/2017 emessa dal Giudice di Pace di Roma in data 14/21.3.2017, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

in accoglimento dell’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara risolto per impossibilità sopravvenuta il contratto concluso tra l’appellante si.gra omissis e l’organizzatore di viaggio appellato S.p.A. in data 20.1.2015 e condanna l’appellato al pagamento, in favore del sig. viaggiatore appellante, della somma di € 619,50;

condanna l’appellata alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore degli appellanti, che liquida in € 43,00 per esborsi ed € 265,00 per compensi, per il primo grado, ed in € 64,50 per esborsi ed € 440,00 per compensi per il secondo grado, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge, con distrazione in favore dell’avv.to Michele Mirante, dichiaratosi antistatario.

Roma, 14.11.2019

IL GIUDICE

Giovanna Schipani

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